Il mediterraneo visto da Pechino: investimenti, commercio, conflitti.
La strategia cinese per espandere la sua influenza nel Mediterraneo
La Cina nel Mediterraneo: fondamenti storici e trend generali
La strategia di espansione cinese è ormai molto nota. Investimenti, commercio, cooperazione industriale e soft power sono solo alcuni degli strumenti che hanno caratterizzato l’ascesa di Pechino a partire dal periodo di “Riforma e Apertura” inaugurato da Deng Xiaoping nel 1978. Dati alla mano, e soprattutto cartine alla mano, risulta evidente che non esiste virtualmente un angolo del pianeta che non sia stato raggiunto dagli investimenti cinesi.
Anche il Mediterraneo, quindi, è direttamente coinvolto nella trasformazione politico-economica diretta dall’Asia verso tutti i continenti del globo. Nonostante i richiami storici alle cosiddette “Vie della Seta”, termine con cui si è soliti definire quella rete lunga più di 8,000 km che si estendeva dall’Italia all’Asia Orientale in cui transitavano uomini, persone, religioni e, talvolta, malattie, l’interesse di Pechino per il Mare Nostrum è principalmente dettato da motivazioni di natura strategica. Come noto, il Presidente Xi Jinping nel 2013 ha lanciato il mega-progetto infrastrutturale Belt and Road Initiative con l’obiettivo di (ri)connettere il continente euroasiatico tramite la costruzione di strade, porti e ferrovie.
Non sorprende dunque che il Mare Nostrum sia stato scelto come termine della cosiddetta Marittime Silk Road, il collegamento marino che dovrebbe unire i porti dell’Asia Orientale e Meridionale, del Medio Oriente e del Mediterraneo (come è possibile vedere nella cartina sottostante).
I dati forniti dal Dataset della Mediterranean Growth Initiative ci permettono di inquadrare in maniera chiara il reale coinvolgimento della Cina nella regione. Tra i principali Paesi esportatori negli Stati bagnati dal Mare Nostrum, la Cina si posiziona al secondo posto con un export annuale di 180$ miliardi. Se questo dato viene scomposto a livello sub-regionale e integrato con i dati riguardanti l’import, la Cina si posiziona come quinto partner commerciale per i Paesi del Medio Oriente, come l’ottavo partner commerciale dell'Europa Meridionale e come il sesto partner commerciale del Nord Africa. Infine, anche gli investimenti esteri diretti nella regione (i cosiddetti FDI) sono in costante crescita da più di 15 anni.
La Cina e i principali Paesi dell’area euro-mediterranea
1. La Cina e l’Egitto
Finita questa rapida disamina dei dati economici, è possibile concentrarsi sui Paesi maggiormente coinvolti nel processo di espansione cinese. Storicamente Pechino intrattiene ottime relazioni con l'Egitto, con il quale ha sviluppato ottimi rapporti diplomatici sin dagli anni '60. Sebbene il Cairo abbia riconosciuto ufficialmente la Cina nel 1956 sotto la guida del generale Nasser, è stato durante il trentennio di Mubarak che la cooperazione sino-egiziana si è intensificata in maniera sostanziale. Al presidente Mubarak è infatti attribuita la seguente dichiarazione:
Per me, visitare la Cina è come andare a casa. L’Egitto vede la Cina più come una sorella (traduzione originale: fratello) che come un’ordinaria nazione amica.
In anni recenti la cooperazione tra i due Paesi si è intensificata ulteriormente, soprattutto in alcuni progetti come la New Administrative Capital—una nuova capitale amministrativa che dovrebbe essere costruita a 45 km dal Cairo e che dovrebbe ospitare le sedi degli organi governativi ed amministrativi—e la Suez Canal Economic Zone, un’area di libero scambio costruita sul fiume Nilo. L’area del canale riveste chiaramente un interesse strategico essendo, assieme allo Stretto di Gibilterra, l’accesso primario al Mar Mediterraneo.
2. La Cina e l’Italia
Un altro Paese con cui la Cina ha migliorato in maniera significativa i rapporti diplomatici è l’Italia. Nel 2019 ha avuto ampio risalto nei media il Memorandum of Understanding (MoU) firmato tra Pechino e Roma che di fatto ha sancito l’ingresso italiano nella Belt and Road Initiative. Questo accordo porta con sé importanti implicazioni di natura economica, soprattutto in termini di cooperazione industriale. È evidente però che il MoU abbia avuto anche alcune conseguenze di natura geopolitica. Da più di settanta anni l'Italia è stata un partner strategico fondamentale all'interno dell'Alleanza Atlantica e questo accordo, in un clima di crescenti tensioni sino-americane, ha allarmato Washington che ha visto nel MoU la consolidazione di un rapporto troppo stretto tra la Cina e un Paese Nato. Ad ogni modo, l’interesse cinese nei confronti dell’Italia si è materializzato in anni recenti soprattutto in investimenti importanti, si pensi alla celebre acquisizione della partecipazione di maggioranza di Pirelli per 7.2 miliardi di euro oppure alle acquisizioni di quote minoritarie in Cdp Reti e Ansaldo Energia.
3. La Cina e la Grecia
Nella lista dei Paesi coinvolti non può ovviamente mancare la Grecia. Il caso più noto è certamente l’acquisizione del porto del Pireo nel 2016 da parte dell’impresa statale cinese COSCO (China Ocean Shipping Company Limited). L’obiettivo di Pechino è quello di trasformare il porto greco in un hub chiave per il commercio tra l’Asia e l’Europa. I rapporti particolarmente positivi tra i due Paesi sono confermati da una visione tendenzialmente positiva dell’opinione pubblica greca nei confronti della Cina, un dato anomalo all’interno degli Stati dell’Unione, perlopiù scettici nei confronti di Pechino come recentemente rilevato dal noto Pew Research Center.
4. La Cina e la Turchia
Infine, un altro Paese che può essere preso in considerazione è la Turchia. Infatti, in anni recenti i due Paesi hanno intensificato i rapporti economici anche se vi è uno squilibrio strutturale a favore della Cina, soprattutto in termini di deficit commerciale. Anche nel caso Turco l’interesse di Pechino si è manifestato nell’acquisizione di due terzi del porto di Kumport posizionato nella periferia di Istanbul. A rendere ancora più complesso il rapporto tra questi Stati vi sono due questioni chiave: da un alto, l’ambivalenza di Erdoğan nei confronti della persecuzione degli Uiguri nella regione dello Xinjiang cinese e, dall’altro lato, l’espansionismo militare della Turchia nella regione mediterranea e medio orientale.
L’interesse cinese per i porti del Mediterraneo: oltre l’influenza economica?
Come evidenziato da un recente report del French Institute of International Relations, è possibile individuare tre diverse aree di intervento cinese nel Mediterraneo:
Creazione di forum di cooperazione regionale e settoriale
Investimenti in trasporti, energia e telecomunicazioni
Conduzione di esercitazioni navali militari
Tra queste aree di intervento sono di grande interesse le già citate acquisizioni delle infrastrutture portuali, tra cui quelle dei Pireo e di Kumport. È chiaro, però, basandosi sulla mappa sottostante che questi non siano casi isolati ma che appartengano invece ad una strategia più ampia.
Il caso che, come italiani, ci tocca più da vicino è certamente quello del porto di Trieste. Per anni infatti si era paventata l’idea di un forte coinvolgimento cinese nel porto italiano, un progetto che era culminato nella firma di un MoU nel 2019 tra l’Autorità Portuale di Trieste e l’impresa statale CCCC (China Communications and Construction Company). Nel 2020, però, l’ennesimo capovolgimento nell’ambito della più ampia guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti ha nuovamente cambiato le prospettive dell’accordo che già aveva suscitato diversi malumori nella città di Trieste. La CCCC è stata infatti messa al bando dal Segretario di Stato Mike Pompeo che in un comunicato ufficiale ha dichiarato:
CCCC e le sue sussidiarie sono coinvolte in corruzione, prestiti predatori, distruzione ambientale e altri abusi in varie parti del mondo.
I progetti che la CCCC aveva pianificato a Trieste sono stati quindi messi fortemente in discussione dalla presidenza Trump mentre resta ancora poco chiara che direzione prenderà la politica estera del presidente Biden nei confronti di Pechino [*].
Conclusioni: quale futuro per la presenza cinese nel Mediterraneo?
In conclusione è possibile affermare che il coinvolgimento economico di Pechino nel Mar Mediterraneo deve essere letto in un clima di crescenti tensioni nella sua parte orientale (si pensi, per esempio, ai recenti scontri tra Turchia e la Grecia) e nella regione del Nord Africa ( si pensi alla crisi migratoria libica). Anche la Russia, in anni recenti, ha tentato di proiettare la propria forza militare nella regione, contribuendo ulteriormente a mettere in discussione la sicurezza della regione. Per questi motivi, almeno nel breve periodo, la Cina non può essere considerata una minaccia nel Mediterraneo, a differenza di quanto avviene nel Mar Cinese Meridionale, sia per gli obiettivi perseguiti dal gigante asiatico e sia per gli strumenti impiegati.
Le conseguenze del coinvolgimento di Pechino potranno essere valutate solo negli anni avvenire, considerando che spesso la strategia di Pechino mira a trasformare l’influenza economica in influenza politica. Gli auspici, almeno per quanto riguarda l’Unione Europea, è che si riesca ad adottare una politica comune nei riguardi del Dragone. Per il Nord Africa e il Medio Oriente rimangono molte più perplessità ed i rischi che questi Paesi si trovino assoggettati ad un partner ingombrante sono tutto fuorché fuori discussione. I casi del Pakistan, dello Sri Lanka e di molti Paesi asiatici deve servire da monito. Senza allarmi, certo, ma con costante vigilanza ed attenzione.
Per continuare la serie “La Cina nel Mediterraneo” ho recentemente pubblicato un articolo su MedFiles riguardante i rapporti bilaterali tra Cina ed Israele. Lo puoi trovare a questo indirizzo.
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[*] Aggiornamento del 30 novembre 2021