Il Mediterraneo, visto da Mosca
Guerra, pace, diplomazia: la strategia mediterranea della Russia spiegata per tutti.
Questo articolo è il terzo appuntamento di una serie che esamina la storia delle relazioni tra le grandi potenze e il Mediterraneo. Il primo appuntamento dedicato alla Cina nel Mediterraneo si può trovare a questo indirizzo, mentre il secondo dedicato alla visione di Macron del Mediterraneo si può trovare a questo indirizzo.
Nel primo articolo pubblicato su questa newsletter ho cercato di raccontare il rapporto che per millenni ha legato la Cina al Mar Mediterraneo, prima da un punto di vista storico con le cosiddette Vie della Seta e, successivamente, con i crescenti investimenti che Pechino ha iniziato a dirottare verso il Mare Nostrum. La storia della Russia verso le acque del nostro mare è invece diversa. Da secoli, infatti, l’enorme paese che attraversa tutta l’Asia, ha visto nel Mediterraneo una grande opportunità strategica per espandere la propria influenza. Là dove la Cina ha per millenni visto l’Occidente alla stregua di una semplice opportunità commerciale nonché una realtà arretrata e barbara da cui nulla si poteva imparare, la Russia ha visto nell’Europa e conseguentemente nella sua proiezione mediterranea un’opportunità politica. Questa vicenda è stata magistralmente raccontata dallo storico David Abulafia nel suo classico The Great Sea: A Human History of the Mediterranean (trad. italiana per Mondadori “Il grande mare. Storia del Mediterraneo”, 2017), saggio che qui è chiaramente impossibile riassumere ma di cui consiglio vivamente la lettura.
In questo articolo cercherò di spiegare la visione che la Russia contemporanea ha del Mediterraneo, articolando il discorso in tre punti:
La Grand Strategy russa, visioni da Mosca.
La Russia in Siria (e poi in tutto il Medio Oriente).
L’Europa ad un bivio: fermare la Russia o scenderci a patti?
Prima di continuare la lettura, per cortesia, sostieni questo progetto iscrivendoti gratuitamente alla newsletter di MedFiles. Basta solo la tua mail (e 10 secondi).
1. La Grand Strategy russa, visioni da Mosca
La storia ci può insegnare molto. Non tanto per poter prevedere gli eventi futuri, cosa chiaramente impossibile, quanto piuttosto per comprendere certe strutture, o tendenze di lungo periodo, che connotano la storia di popoli, Stati e continenti. Da questa prospettiva, nella storia della Russia si può individuare un caposaldo che è rimasto a lungo invariato durante i secoli, ovvero la priorità che il paese attribuisce alla conquista e al mantenimento dello sbocco sul mare.
Non stupisce dunque che due tra i grandi rivali storici della Russia siano proprio la Svezia, con cui condivide il controllo del Baltico, e la Turchia, con cui condivide il Mar Nero. Senza contare inoltre che il Bosforo è attualmente l’unico passaggio che permette alla Russia di giungere al Mediterraneo in tempi rapidi. Questi motivi spiegano perché, ancora oggi, i rapporti tra Ankara e Mosca siano centrali nella definizione degli equilibri del Mare Nostrum.
Celebre è stata, durante la Guerra Fredda, la 5th Operational Squadron, una flotta dispiegata dall’URSS a partire dal biennio ‘63-’64 il cui compito era quello di proiettare la forza del paese nel Mediterraneo e in Medio Oriente. Ma dopo il crollo dell’Unione Sovietica, il paese ha dovuto affrontare una crisi economica e politica senza precedenti che ha avuto profonde conseguenze sulle sue capacità militari. La decadenza delle forze armate russe nel periodo post-sovietico è un fatto noto, ma ciò che molti non sanno è che il paese ha continuato, anche negli anni successivi al crollo dell’URSS a portare avanti una riflessione teorica sul posto che il paese avrebbe dovuto avere nel Mediterraneo, in Europa e nel mondo. Per questo motivo, nel 1995 venne coniato dai teorici russi il concetto di Greater Mediterranean, che vedeva la Federazione impegnata in un unico grande teatro comprendente il Mar Nero, il Mediterraneo e il Medio Oriente. Sarà necessario attendere l’ascesa di Putin affinché le capacità militari della Russia potessero tornare ai fasti d’un tempo, ma nel frattempo il lavoro portato avanti da ufficiali, docenti e politici si sarebbe rivelato estremamente utile per dare un indirizzo concreto alla forza del paese all’inizio degli anni ‘2000.
Ad oggi la Russia deve affrontare un problema chiave, ovvero la mancanza di basi nel Mare Nostrum. Ad eccezione del porto di Tartus in Siria, infatti, il paese non possiede nessun altro riferimento stabile nelle acque del Mediterraneo, rendendo notevolmente più complesse le attività della marina russa nella regione. I tentativi di negoziati con altri paesi per ottenere supporto portuale, come annunciato dal Ministro degli Esteri Shoigu qualche anno fa non ha portato alcun risultato tangibile.
Secondo il Marshall Center, gli obiettivi della Russia nel Mediterraneo ad oggi sono principalmente tre:
Migliorare la sicurezza del paese, traendo beneficio dalla propria posizione geografica.
Sfruttare la propria influenza nel Mediterraneo per proporsi come potenza alternativa agli Stati Uniti.
Supportare il regime siriano, l’alleato più importante su cui il paese può fare affidamento nel Mediterraneo.
Ad oggi, il predominio delle forze armate della NATO e degli USA nella regione del Mediterraneo Orientale non sono in discussione e la Russia ne è ben consapevole. Rispetto a dieci anni fa, però, la posizione del paese si è fortemente rafforzata. Ciò ha fatto si che Russia e Cina potessero condurre nel 2015 un’esercitazione navale congiunta nelle acque del Mediterraneo, dal nome di Mediterranean Joint Sea-2015. I risvolti di questa prova di forza sono sia pratici che teorici. Da un lato il paese ha dimostrato di possedere strumenti all’avanguardia per sostenere un’eventuale guerra marina, mentre dall’altro ha tentato di lanciare un messaggio chiaro a Washington e a Bruxelles: la Russia è tornata.
2. La Russia in Siria (e poi in tutto il Medio Oriente)
Non è un mistero che la Russia sia attualmente il partner strategico primario della Siria, un supporto iniziato dopo gli sconvolgimenti delle Primavere Arabe e il collasso del regime di Bashar al-Assad a partire dal 2011. Tornando indietro nel tempo a circa quindici anni fa ci saremmo potuti stupire di un evento del genere. Il dominio americano nella regione era infatti incontestabile, con migliaia di truppe dispiegate direttamente in molti paesi del Medio Oriente. Poi però, almeno due eventi tra loro slegati, hanno cambiato gli equilibri di forza della regione. Da un lato l’ascesa russa ha segnato una vera rinascita delle forze armate del paese, grazie a investimenti massicci in innovazione bellica, dall’altro un cambiamento di politica estera americano ha segnato un graduale ritiro delle proprie truppe all’estero, tendenza questa, è bene ricordarlo, iniziata con l’amministrazione Obama e continuata con quella Trump. Gli obiettivi della “Nuova Russia” possono essere qui riassunti:
Spostare gli equilibri del conflitto civile siriano a favore del dittatore al-Assad è stata vista da Mosca come un’opportunità, oltre che per proiettare la propria forza nella regione, anche per testare le proprie armi elettroniche (electronic warfare) che hanno suscitato non poco timore in America (The Jerusalem Post).
È risaputo che la Russia ha adottato un modello economico fortemente basato sull’export di risorse energetiche (oil and gas), per questo motivo alti prezzi delle risorse significano -semplificando molto- maggiori introiti per il paese. La Russia di Putin ha visto nell’intervento militare in Medio Oriente uno strumento per influenzare le decisioni energetiche prese dai paesi della regione, soprattutto dall’Arabia Saudita.
La Russia, infine, ha avuto un ruolo importante nella vendita di armi alla Siria. Ciò ha permesso grandi profitti alla compagnia di Stato russa coinvolta nelle vendite di armi all’estero, la Rosoboronexport, che ha siglato, secondo Human Rights Watch, contratti milionari con il governo di Assad. Armi, queste, che sarebbero state usate per reprimere il dissenso e uccidere migliaia di civili siriani.
Infine, dopo quasi dieci anni dallo scoppio delle Primavere Arabe e dopo circa sei anni dall’inizio del coinvolgimento russo in Siria, possiamo trarre alcune conclusioni. La Russia ha acquisito credibilità in Medio Oriente, soprattutto grazie al Processo di Astana [*] e alle alleanze che il paese ha costruito con due potenze regionali come Turchia e Iran (ISPI). È infatti risaputo che vi sia stata una convergenza di interessi tra questi tre Stati che ha permesso la nascita di una -utilizzando una complicata ma fortunata espressione- “alleanza semi-flessibile”. Solo i prossimi anni ci diranno quanto i successi ottenuti nello scorso decennio siano solidi e durevoli, ma una cosa è certa: i fallimenti mediorientali degli ultimi decenni dell’URSS, tra tutti la guerra con l’Afghanistan del ‘79-’89, sembrano essere stati lasciati alle spalle.
3. L’Europa ad un bivio: fermare la Russia o scenderci a patti? Alcune riflessioni
Alla fine si arriva sempre qua, alla domanda delle domande. Cosa fare con la Russia? Guerra o Pace? Purtroppo una risposta “giusta” non esiste, ciò però non implica che qualche riflessione sul tema non possa essere avanzata. Da un punto di vista storico, soprattutto nel 18° e 19° sec. la Russia è stata in effetti parte integrante del sistema degli Stati europeo, si pensi per esempio alle guerre Napoleoniche e al Congresso di Vienna del 1814, tutti eventi in cui il paese ha rivestito un ruolo di primissimo piano. Ma non solo la guerra e la diplomazia accomunano la storia tra Russia ed Europa durante questi secoli. A lungo, infatti, il paese è stato retto da un sistema monarchico che aveva molte analogie con le forme di governo degli altri Stati europei (si pensi in tal senso all’Alleanza dei tre imperatori del 1881 che ha portato alla nascita dell’asse difensivo tra Germania, Austria-Ungheria e Russia).
Il 20° secolo e la Rivoluzione Russa in tal senso si presentano come un elemento di profonda rottura rispetto a quella “vicinanza” riscontrata fino a quel momento. Dopo il 1917, al modello capitalistico imperante nell’Europa, la Russia ha opposto una nuova esperienza economica basata sulla collettivizzazione dei mezzi di produzione. Ma le differenze tra i due modelli, non sono chiaramente solo economiche. Nell’eterna battaglia tra comunismo e capitalismo si scontrano due visioni completamente diverse dell’uomo e della storia. Da un lato la libertà individuale, non solo economica, ma anche politica e di pensiero, posta al centro del progresso storico, mentre dall’altro la spersonalizzazione dell’individuo all’interno delle masse, intese come unico mezzo di trasformazione politica e sociale.
Reagan nel 1983 definì in maniera iconica l’Unione Sovietica come un’evil empire (l’impero del male), sottolineando con una semplice definizione il divario non largo, bensì incolmabile, che sussisteva tra la democrazia liberale occidentale e il comunismo. Per questo motivo negli anni ‘80 la risposta alla domanda posta in apertura di questo paragrafo sarebbe stata molto più facile da dare: “arginare l’URSS è necessario per salvare l’Europa”. La questione, però, dopo il 1989, si è complicata.
Tutti i paesi appartenenti all’ex Unione Sovietica hanno avviato, alcuni con più successo di altri, processi di transizione economica e politica verso modelli occidentali [**] e lo stesso ha fatto la Federazione Russa. Ad oggi l’economia del paese, seppur con un esteso settore pubblico sviluppatosi attorno alle aree strategiche, è basata su un orientamento capitalista. Ciò ha certamente permesso un graduale riavvicinamento tra i due blocchi, favorito dall’ingresso nell’Unione di paesi che un tempo facevano parte dell’URSS. La dimensione politica, però, rappresenta ancora oggi un problema incolmabile per le relazioni euro-russe. È noto che la Russia di Putin abbia intrapreso un percorso che ha portato alla disgregazione della sua già debole democrazia liberale e, considerando i principi di libertà e democrazia che hanno ispirato i padri fondatori dell’UE [***], è naturale aspettarsi forte diffidenza tra le due parti. A questa criticità inoltre si aggiunge una politica estera molto aggressiva nei confronti dell’Ucraina e, come visto sopra, nel Mediterraneo Orientale da parte di Mosca.
Tutto questo per dire che ad oggi, quell’integrazione euroasiatica idealizzata da alcuni è un fatto ben lontano dal suo compimento. L’UE ha adottato nei confronti della Russia una politica, secondo i suoi standard, abbastanza rigorosa. Le sanzioni imposte dopo l’annessione della Crimea nel 2014 sono ad oggi ancora in vigore e rappresentano un limes psicologico molto forte, almeno nel breve periodo. La sensazione è che i paesi del blocco europeo continueranno ad adottare una politica estera “alternata”, cercando di unire scelte di forza e contenimento ad altre più accondiscendenti, soprattutto nei teatri operativi più distanti dal diretto interesse dell’Europa. È evidente, infatti, che la convivenza con la Russia sia solo una delle tante sfide che attende i 27 paesi del blocco nel prossimo futuro.
La strategia dell’Europa, però, alla base ha almeno due grande difetti. Da un punto di vista “difensivo”, l’influenza russa esercitata in alcuni paesi dell’Europe orientale, tra cui l’Ungheria, sta prendendo piede in maniera preoccupante a dimostrazione del fatto che non bastano solo sanzioni ed esclusioni dai forum internazionali (G8) per arrestare il soft power di un paese. Da un punto di vista “offensivo” (ma preferirei utilizzare il termine “propositivo”), la strategia è ancora più lacunosa, mancando ad oggi una vera roadmap europea per il Mediterraneo e il Medio Oriente (cosa che ho sottolineato con questo articolo uscito qualche settimana fa su MedFiles). Il vuoto di potere geopolitico dell’EU, rappresentato dall’inefficacia dell’istituzione dell’Alto Rappresentante, ha permesso alla Russia di giocare un ruolo centrale durante il periodo post-Primavera Araba, in alleanza con l’altro grande rivale strategico dell’Unione: la Turchia.
Grandi sfide attendono l’UE, ma forse stavolta non basterà il coraggio. Coesione e chiarezza degli obiettivi saranno necessari per delimitare il perimetro della convivenza pacifica con la Russia. In attesa di capire come si muoverà l’amministrazione Biden in tal senso.
[*] Il Processo di Astana è un processo di pace per porre fine alla Guerra Civile Siriana che ha visto il coinvolgimento di Russia, Iran e Turchia.
[**] Precisazione: verso modelli simil-occidentali.
[***] Per questo motivo l’Ungheria rappresenta, a mio giudizio, un problema enorme per la sopravvivenza politica dell’UE.
MedFiles è un giovane progetto indipendente e se pensi che questo articolo ti abbia lasciato qualcosa, un’idea, uno spunto, sostienilo iscrivendoti gratuitamente premendo sul pulsante qui sotto. Bastano solo 10 secondi. Grazie di cuore.