I confini più pericolosi del Medio Oriente: la Striscia di Gaza [volume 2]
Un viaggio per immagini attraverso i luoghi di confine più rischiosi di questa regione.
La Striscia di Gaza è un luogo tristemente conosciuto a livello globale in quanto simbolo più noto del conflitto israelo-palestinese. In questo ristretto lembo di terra affacciato sul mare Mediterraneo si è consumato per anni uno scontro logorante tra due schieramenti che rivendicano il riconoscimento del proprio insindacabile diritto ad esistere nella terra della cosiddetta “Palestina storica”. Va da sé, quindi, che l’attuale barriera che divide israeliani e palestinesi sulla Striscia di Gaza sia diventata negli anni una delle zone più pericolose del mondo, in virtù dell’alto grado di militarizzazione e dei numerosi attentati che sono avvenuti in sua prossimità.
Come ho scritto in questo articolo della newsletter per me è sempre difficile affrontare la questione del conflitto israelo-palestinese, sia per l’alto grado di polarizzazione politica sviluppatosi attorno ad esso e sia per il fatto che sia già stato studiato ed analizzato da ricercatori molto più autorevoli di me.
Nella rubrica sui confini più pericolosi del mondo (qui trovate il volume 1), oramai giunta al secondo e penultimo capitolo, non poteva però mancare la Striscia di Gaza, un’area che continua a rivestire un ruolo centrale nelle tensioni politiche e geopolitiche del Medio Oriente. In questo articolo andremo quindi alla scoperta della storia della barriera che divide Israele da Gaza e del suo più profondo significato politico e culturale.
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Gaza: storia di un confine (quasi) invalicabile
Come già accennato, attualmente esiste una barriera che divide il territorio della Striscia di Gaza da quello posto sotto la sovranità israeliana. I lavori che hanno portato alla sua costruzione sono stati promossi dalle autorità israeliane a partire dal 1994, perlopiù motivati dai numerosi attacchi terroristici che stavano avvenendo in quella zona durante gli anni ‘90. All’epoca erano infatti numerosi gli attacchi terroristici suicidi che adoperavano l’utilizzo di bombe per generare un senso di “continua tensione” tra la popolazione civile israeliana.
Lo scoppio della Seconda Intifada (2000-2005), ovvero una serie di violenti proteste esplose per la prima volta a Gerusalemme ma estese successivamente a quasi tutti i luoghi più iconici del Conflitto, ha portato all’abbattimento della barriera nel 2001. Subito dopo la fine delle ostilità le autorità israeliane si sono impegnate con ancor maggior vigore per ricostruire le parti danneggiate, potenziandone ulteriormente la struttura contro futuri attacchi.
A partire dalla seconda metà degli anni 2000, la barriera è stata usata come strumento per bloccare il transito di persone e merci da e verso la Striscia di Gaza. Questa scelta è stata la risposta politica dei governi di Israele ed Egitto per contenere la minaccia derivante dalla presa del potere di Hamas a Gaza a partire dal 2007.
Non tutti sanno infatti che la Striscia di Gaza è isolata anche dall’Egitto con una barriera di acciaio lunga circa 14 chilometri, costruita a partire dal 2009 con l’aiuto degli Stati Uniti ed aggiornata a più riprese nello scorso decennio. Questa scelta è stata dettata da motivazioni analoghe a quelle che hanno spinto Israele a isolare l’area. In particolare, nel 2008 numerosi militanti palestinesi sono riusciti a fare breccia in territorio egiziano alla ricerca di cibo e rifornimenti. Nello stesso periodo le attività politiche di Hamas hanno iniziato ad intensificarsi ponendo una notevole sfida alla sicurezza interna dell’Egitto. Il Presidente egiziano Mubarak ha quindi deciso di adottare una strategia molto dura per contenere questa minaccia, facendo erigere una barriera che ancora oggi riveste un ruolo centrale nelle questioni transfrontaliere tra Egitto ed Israele.
Ad ogni modo, la barriera si è rivelata assai poco efficace negli anni, come riportato da un ufficiale di sicurezza egiziano, in quanto sembra che i militanti palestinesi siano riusciti a fare breccia attraverso la barriera centinaia di volte durante l’ultimo decennio. Numerosi tunnel usati dai contrabbandieri sono stati chiusi durante l’ultimo decennio, a testimonianza delle intense attività illegali che hanno avuto luogo nonostante il blocco ufficiale del governo del Cairo.
Tornando per un attimo alla barriera che divide Israele e la Striscia di Gaza è importante sottolineare che ad oggi esiste un punto di transito principale tra una zona e l’altra. A nord è infatti situato il passaggio Erez, accessibile però solo in alcune circostanze:
Ai palestinesi nel caso in cui si verifichino “eccezionali condizioni umanitarie”.
Agli studenti e agli sportivi palestinesi che vogliono viaggiare all’estero (sebbene non sia sempre consentito).
Ai mercanti (anche in questo caso il flusso è fortemente limitato).
Nella pratica, il passaggio tra le due zone è gestito unilateralmente dalla Israeli Defense Force, che detiene quindi un forte grado di aleatorietà nelle decisioni, operando -almeno in teoria- in una logica esclusivamente legata alla sicurezza interna di Israele.
Un tempo vi era un altro punto di passaggio, il Karni, utilizzato però solo per il trasporto delle merci e situato nella parte di confine orientale. Questo punto di transito è stato aperto per la prima volta nel 1994 a seguito della firma degli Accordi di Oslo ed è stato successivamente chiuso nel 2011. Di seguito si può vedere una mappa che chiarisce la struttura della barriera:
Conclusioni: una barriera, molti significati
Nelle conclusioni del primo volume, riguardante i confini tra Israele e Siria, Yemen ed Arabia Saudita e Iran-Iraq, mi sono concentrato principalmente sul fatto che in molti scenari geopolitici i confini militarizzati siano diventati l’esempio della “degenerazione della guerra a strumento di “stabilità” e più non di risoluzione delle controversie”. In altre parole, la diffusione delle guerre a bassa intensità, a discapito della guerra tradizionale dell’età moderna, ha permesso la nascita di zone altamente ostili alla vita e frequentate perlopiù da forze armate pronte a sparare a vista contro chiunque tenti il passaggio.
Qui vorrei invece soffermarmi brevemente su un altro aspetto di questi confini: il loro forte impatto simbolico. La barriera che divide Israele e la Striscia di Gaza può infatti assumere un duplice significato a seconda della prospettiva da cui la si guarda. Secondo i palestinesi, essa è l’emblema dell’oppressione quotidiana perpetuata da Israele. Secondo Israele, la barriera è uno strumento necessario per difendere quotidianamente la vita dei propri cittadini.
Qualsiasi sia la prospettiva da cui la si guarda, questa barriera è in grado di far scaturire emozioni intense che appaiono di difficile comprensione per i cittadini europei abituati alla libertà di movimento dell’area Schengen e alla relativa tranquillità dei controlli al confine. Se però essa rappresenta un’immagine certamente forte per un osservatore esterno, diversa è la questione per le migliaia di persone che devono regolare la loro quotidianità sulla base di una divisione permanente tra noi e “l’altro”. E non è un caso che forme artistiche come l’arte murales siano fiorite lungo queste barriere, facendole diventare al tempo stesso oggetto di contestazione ed opera d’arte.
Ed è proprio questo dualismo interpretativo (lato israeliano vs lato palestinese) unito a questa sorta di doppia natura (oggetto di contestazione vs opera d’arte) a rendere i luoghi di confine militarizzati così interessanti da studiare, analizzare e scoprire. Tenendo sempre come obiettivo finale, però, la risoluzione pacifica di questi scontri logoranti e distruttivi.
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