Il nuovo accordo sul gas tra Italia e Algeria: un ritorno al passato?
Rischi e opportunità del nuovo accordo siglato per superare la dipendenza italiana dal gas russo
Lunedì 11 aprile 2022, l’Italia e l’Algeria hanno siglato un nuovo accordo per incrementare le forniture di gas algerino. Come noto, in queste settimane il governo italiano — e, più in generale, quelli del continente europeo — sta cercando di ridurre in maniera significativa la sua dipendenza dal gas russo dopo che lo scoppio della crisi ucraina ha generato una profonda scissione negli equilibri geopolitici mettendo in crisi i mercati dell’energia e quello agro-alimentare.
Per l’Italia la ricerca di un’alternativa al gas russo è diventata in queste settimane un obiettivo prioritario al fine di tutelare la propria sicurezza nazionale. Un obiettivo, questo, che il Primo Ministro Draghi sta cercando di raggiungere tramite una serie di accordi con i Paesi esportatori del Medio Oriente e del Nord Africa. L’Algeria è stata la prima ad essere coinvolta in questo processo grazie ad un accordo firmato dall’amministratore delegato di ENI, Claudio Descalzi, e dal presidente della società algerina Sonatrach, Toufik Hakkar.
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L’Italia e la dipendenza dal gas: alcuni dati
Secondo i dati più recenti, l’Italia ha consumato nel 2021 circa 76,1 miliardi di metri cubi gas. Di questi, il 95,6% sono stati importati mentre il restante 4,4% proviene dall’estrazione locale. Lo scorso anno l’Italia ha importato dalla Russia 29,07 miliardi di metri cubi che equivalgono, circa, al 38,% dei consumi totali. Il gas russo arriva attraverso tre diversi gasdotti che formano il cosiddetto Trans Austria Gas pipeline (TAG):
L'Urengoy-Pomary-Uzhgorod, lungo 4.450km, parte dalla Siberia, passa per l'Ucraina e arriva quasi in Slovacchia. Da lì il gas, con il Transgas, arriva in Austria e viene immesso nel Tag (Trans Austria Gas), controllato da Snam, che lo trasporta per 380km fino all'impianto di Tarvisio, in provincia di Udine e vicino ai confini austriaco e sloveno. (Via @Repubblica)
L’Algeria, con i suoi 22,6 miliardi di metri cubi che transitano attraverso il gasdotto Transmed, è invece il secondo esportatore di gas per l’Italia. L’accordo siglato tra i due Paesi la scorsa settimana dovrebbe alzare questa quantità fino a raggiungere i 31,5 miliardi di metri cubi (coprendo con questo aumento circa un terzo delle forniture provenienti da Mosca). La crescita delle forniture non sarà però immediata nonostante i tentativi del Primo Ministro Draghi di velocizzare i tempi. Nel 2022 verranno forniti 3 miliardi di metri cubi in più, destinati poi a salire a 6 miliardi nel 2023. Solo entro il 2024 si raggiungeranno i 9 miliardi aggiuntivi previsti dall’accordo.
Il gas algerino: opportunità e rischi
Non c’è dubbio che lo sforzo portato avanti dal governo Draghi per trovare in tempi rapidi nuove forniture di gas naturale vada nella giusta direzione. L’accordo italo-algerino possiede però almeno tre criticità che vanno prese in considerazione.
L’Algeria, soprattutto negli ultimi anni, è stata caratterizzata da alcune instabilità politiche e socio-economiche che potrebbero minare l’erogazione delle forniture nel medio periodo. Nel caso in cui si verificassero rivolte politiche o cambiamenti di regime potremmo infatti assistere a interruzioni di rifornimenti oppure ad una rimessa in discussione dei termini contrattuali.
Il Mediterraneo è diventato negli ultimi anni teatro di minacce che hanno drasticamente ridotto la sicurezza collettiva dell’area. Tutte le potenze regionali hanno infatti perseguito un’agenda tendenzialmente unilaterale finalizzata a massimizzare la propria posizione in ambito energetico e diplomatico — seppur con le dovute eccezioni, come testimoniato dalla nascita dell’East Mediterranean Gas Forum. Una delle tendenze più recenti vissuta con una certa apprensione da parte della marina italiana è il rafforzamento delle forze navali algerine, le quali in anni recenti hanno acquisito nuovi equipaggiamenti militari di produzione russa (qui un bell’articolo del Ce.S.I. in cui se ne parla).
Le riserve di gas tunisino non sono né illimitate e nemmeno prive di problemi che ne ostacolano il pieno utilizzo. Secondo le stime più recenti, infatti, nel Paese sono presenti circa 2,4 trilioni di metri cubi ma il loro utilizzo è limitato da almeno due fattori strutturali: in primo luogo la mancanza di investimenti esteri nelle infrastrutture, in secondo luogo la crescita dei consumi interni. Per queste motivazioni bisogna cercare di non sovrastimare le reali capacità delle forniture algerine, almeno nel breve periodo.
Nuove riserve o riconfigurazione delle destinazioni?
La produzione di gas algerino è stagnante dal 2019. Per questo motivo, molti analisti si sono chiesti da dove verranno prese la riserve aggiuntive destinate all’Italia. La risposta più probabile, almeno per ora, è il potenziale dirottamento di miliardi di metri cubi precedentemente esportati in Spagna tramite il gasdotto Maghreb-Europa (MEG) — ora chiuso per motivazioni politiche.
Inoltre, secondo le fonti più aggiornate, la Spagna sembra voler colmare il suo gap tra risorse necessarie e disponibili ricorrendo al cosiddetto liquefied natural gas (LNG), ovvero una tipologia di gas che viene estratta in particolari giacimenti e trasportata sotto forma di liquido attraverso navi metaniere. Solo in un secondo momento l’LNG viene scaldato e riportato allo stato gassoso. Durante le ultime settimane, questa tipologia di gas (ampiamente esportata dagli Stati Uniti) ha raggiunto un prezzo di mercato superiore del 40% rispetto a quello russo e, a fronte dell’aumento repentino della domanda, non è da escludere che il prezzo possa salire ulteriormente.
Il precario equilibrio tra la ricerca di nuovi fornitori e i consumi interni. Con un occhio rivolto all’Europa.
L’impegno del governo Draghi non si esaurisce all’accordo siglato con l’Algeria. In queste giornate sono infatti attesi dei viaggi verso alcuni Paesi africani esportatori di gas naturale, tra cui il Mozambico, il Congo e l’Angola. L’obiettivo di diversificare i fornitori nel medio-lungo periodo non sarà però facile da raggiungere e ci costringe a riflettere sulla frase — ormai celebre — del Primo Ministro Mario Draghi sul cosiddetto trade-off tra l’aria condizionata accesa e la guerra in Ucraina. Una dichiarazione, questa, che lascia chiaramente intendere come il governo italiano stia valutando, assieme alla ricerca di nuovi partner energetici, anche la riduzione del consumo interno, soprattutto nei settori non produttivi.
Inoltre, l’Italia starebbe valutando anche una serie di misure volte a migliorare l’efficienza nell’utilizzo del gas senza colpire direttamente le quantità consumate:
Una delle opzioni riguarda una revisione dell’attività industriale, preservando comunque il livello di produzione delle aziende. Per le attività energivore, cioè che consumano molta energia come quelle legate all’acciaio e alla ceramica, si sta valutando la possibilità di concentrare le attività in specifici periodi dell’anno nei quali il consumo di gas è solitamente più basso, rendendo più uniformi i consumi e riducendone i picchi. In vari periodi dell’anno queste aziende lavorano a regime ridotto, e coordinando questi periodi si potrebbero ottimizzare i consumi di energia. (Via @ilPost)
Nei prossimi mesi capiremo effettivamente che strada sceglierà di intraprendere il governo italiano — auspicabilmente all’interno di un quadro europeo condiviso. In queste ore, infatti, si è tornati a parlare di un “tetto europeo” al prezzo del gas russo proposto proprio da Mario Draghi. L’idea alla base di questa strategia è che l’Europa faccia leva sul suo peso di mercato per ridurre unilateralmente il prezzo di questa materia prima. La Russia potrebbe infatti impiegare almeno un decennio per riorientare la sua fornitura di gas verso l’Asia e attualmente non può rinunciare al mercato europeo se vuole continuare a finanziare la guerra contro l’Ucraina.
L’UE su questo tema è però fortemente divisa e sarà necessario tentare una ricomposizione delle varie posizioni in vista del vertice previsto per fine maggio. Da un lato, appunto, vi è la posizione più intransigente dell’Italia che, nonostante la sua alta dipendenza, vuole ridurre la quota di gas russo nell’economia europea e nazionale nel minor tempo possibile. Dall’altro lavo, invece, vi è la posizione della Germania molto più restia a recidere i rapporti energetici con Mosca in tempi così rapidi — sebbene concorde nella necessità di raggiungere questo obiettivo nel lungo periodo. A tal riguardo, il Ministro dell’Economia tedesco, Christian Lindner, ha dichiarato:
“È chiaro che dobbiamo recidere il più rapidamente possibile tutti i nostri legami con la Russia. Ma ciò non può essere fatto nel breve termine. Infliggeremmo più danni a noi europei che ai russi”
Da una dipendenza all’altra: un ritorno al passato?
Sebbene questo accordo possa essere considerato un successo del governo Draghi, esso non risolve a fondo una delle questioni principali che hanno spinto i policymakers italiani a cercare un’alternativa al gas russo, ovvero la questione della dipendenza energetica (e della conseguente dipendenza politica che ne deriva). Il nuovo contratto, infatti, aiuta l’Italia a sganciarsi gradualmente dalle forniture di un Paese belligerante e aggressivo come la Russia, ma incrementa la subordinazione nei confronti dell’Algeria, un Paese molto più instabile politicamente.
Le recenti vicende che hanno coinvolto il triangolo Spagna-Algeria-Marocco potrebbero, in tal senso, fungere da guida per comprendere i rischi connessi ad un’eccessiva dipendenza energetica. Madrid, infatti, dopo aver annunciato nel 2021 il proprio supporto al piano del Sahara Occidentale proposto dal Marocco, ha dovuto fare i conti con una serie di forti rimostranze algerine. A seguito di questa crisi diplomatica, la stampa spagnola ha accusato il Premier Pedro Sanchez di aver fatto perdere al proprio Paese l’opportunità di diventare uno dei principali hub regionali del gas algerino.
L’Italia, per ora, sta monitorando silenziosamente questa crisi interna cercando di non farsi coinvolgere nel dibattito spagnolo, ma la lezione che si può apprendere da questa vicenda è evidente: in tempo di guerra un Paese indipendente nei settori strategici possiede maggiori opportunità di manovra nello scenario internazionale. E da ciò deriva la possibilità di prendere decisioni diplomatiche “forti” senza mettere in pericolo la sicurezza nazionale, mai come ora minacciata da Paesi antagonisti come la Russia.
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