I personaggi #1: L’Iran, Raisi, i crimini contro l’umanità
Il passato contestato del nuovo presidente iraniano.
Se seguite con una certa regolarità i notiziari televisivi è possibile che vi siate imbattuti in qualche trafiletto a bordo pagina riportante la notizia delle recenti elezioni in Iran vinte dal candidato Ebrahim Raisi. Queste elezioni, oltre ad essere contraddistinte da un’affluenza bassissima, sono state fortemente contestate dagli osservatori per via delle modalità opache (leggasi brogli elettorali) con cui si sono svolte. I principali candidati moderati sono stati infatti esclusi dalla competizione elettorale diversi mesi prima delle votazioni, privando gli iraniani di una vera votazione democratica. Per questo motivo la risposta della comunità internazionale è stata molto critica. In una recente intervista rilasciata a Formiche, l’Ambasciatore Terzi si è dichiarato contrario ad una partecipazione, anche solamente diplomatica, alla cerimonia di insediamento di Raisi. L’obiettivo è chiaro: non dare legittimità politica ad un presidente che dovrà bilanciare i fantasmi di un’elezione palesemente manomessa con l’obiettivo di reintegrare il proprio paese all’interno delle comunità internazionale.
L’episodio di MedFiles di oggi, il primo di una miniserie che ha l’obiettivo di analizzare i principali personaggi del Medio Oriente, vuole concentrarsi però non tanto sulle sfide che Raisi dovrà affrontare, quanto piuttosto sul suo passato opaco, in particolare sul suo coinvolgimento personale nei cosiddetti “Comitati della morte di Teheran”.
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Come anticipato, per comprendere il motivo delle contestazioni contro Raisi è necessario fare diversi passi indietro, almeno fino all’alba della Rivoluzione Islamica del 1989. L’attuale presidente, secondo i documenti più recenti, ha infatti rivestito un ruolo di primo piano nelle cosiddette “Commissioni della morte di Teheran”, formatesi nel 1988 a seguito di una fatwa [*] emanata dall’Ayatollah Khomeini. Commissioni, queste, che hanno causato la morte di più di 30,000 oppositori politici [**] macchiandosi di crimini atroci come tortura e omicidio. Per chi non avesse troppa dimestichezza con la storia dell’Iran, è necessario sottolineare che nel 1989 il paese ha vissuto la transizione politica forse più decisiva della propria storia: ovvero il passaggio da Stato islamico con tendenze liberali ad autocrazia religiosa conservatrice, con un marcato ruolo delle figure religiose nella sfera decisionale pubblica. L’Ayatollah Khomeini è stata la figura cardine di questo processo, nonché la guida carismatica della Rivoluzione Islamica. Da quel momento, seppur alternando momenti di crisi ad altri di maggior distensione, l’Iran è stato percepito dall’Occidente come una minaccia, sia per quanto riguarda il suo ruolo ampiamente riconosciuto nel supporto economico e politico a gruppi terroristici come Hezbollah, sia per il suo programma nucleare con cui mira a dotarsi di una bomba atomica.
Raisi, dunque, ha mosso i suoi primi passi all’interno di questo contesto rivoluzionario, un fatto che contraddistingue in realtà molti politici conservatori del paese. Ma il diretto coinvolgimento nei fatti dell’88 ha posto la sua figura al centro di un dibattito internazionale non indifferente. Per esempio, Javaid Rehman, relatore per le Nazioni Uniti sui diritti umani nella Repubblica Islamica, ha ribadito la necessità di un’inchiesta internazionale indipendente volta a verificare il coinvolgimento del presidente nel massacro del 1988. Critiche altrettanto forti sono arrivate da Amnesty International, tramite le parole di Agnès Callamard, segretario generale, che ha ribadito la necessità di indagini per crimini contro l’umanità, sparizione forzata, tortura, omicidio.
L’esistenza e la funzione dei “Comitati della morte di Teheran” è ufficialmente riconosciuta in Iran, sebbene i funzionari locali tendano a sottostimare il numero dei morti attorno alle 1,000 persone. Per alcuni l’appartenenza a questi gruppi costituiti per volontà dell’Ayatollah Khomeini è addirittura motivo di vanto: “Siamo orgogliosi di aver portato a termini il volere di Dio”, ha dichiarato Mostafa Pourmohammadi, uno dei suoi membri, nel 2016. Un aspetto che va certamente chiarito riguarda il ruolo specifico rivestito da Raisi all’interno di questi comitati, sebbene la semplice appartenenza sia sufficiente, secondo il mio giudizio, a delegittimare qualsiasi presidente. I documenti emersi finora non forniscono ulteriori dettagli e lo stesso Raisi, interrogato su questi fatti, ha risposto in maniera assolutamente nebulosa:
“I am proud to have defended human rights in every position I have held so far”
In conclusione, i conclamati brogli elettorali e la partecipazione di Raisi in uno dei più grandi massacri della storia dell’Iran, pongono il presidente in una posizione critica sin dai primi mesi del suo mandato. Da un punto di vista della politica interna, il problema è assolutamente rilevante, data la presenza nel paese di una vivace società civile pronta a scendere in piazza per protestare contro il potere costituito, come avvenuto recentemente nel 2019. Diverso è invece il discorso sul piano internazionale. Tutti i leader dei principali paesi coinvolti nel JCPOA hanno mostrato chiari segnali di disapprovazione verso le pratiche elettorali scorrette dell’Iran, almeno da un punto di vista formale. È difficile però prevedere se, e in che misura, il background di Raisi possa diventare un ostacolo alla risoluzione del principale problema legato alla politica estera dell’Iran: lo sviluppo della tecnologia nucleare. È probabile che per raggiungere un obiettivo più grande (la pace in Medio Oriente) i leader dei principali paesi cercheranno una politica di apertura quantomeno sostanziale verso l’Iran. È però chiaro che, nel caso in cui il governo guidato da Raisi non si dimostri aperto al dialogo con l’Occidente, anche il suo passato personale potrebbe diventare uno strumento importante di ritorsione politica. I prossimi mesi, in tal senso, saranno cruciali.
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[*] Fatwa: “Termine che indica genericam. un responso giuridico su questioni riguardanti il diritto islamico o pratiche di culto; la parola ha avuto notorietà in Italia per l’uso restrittivo con cui è stata intesa nel linguaggio dei giornali che la riferirono alla condanna a morte in contumacia pronunciata nell’anno 1989 dall’ayatollah Khomeinī contro lo scrittore Salman Rushdie, ritenuto reo di sacrilegio verso la religione musulmana per il suo libro The Satanic Verses («Versi [o Versetti] satanici»)”. Fonte: Treccani
[**] Non essendoci pervenuti resoconti ufficiali e affidabili, il numero di morti si basa su stime indipendenti.