Guida alla crisi ucraina
Le dinamiche essenziali da monitorare per comprendere il conflitto e le sue conseguenze future.
Nelle scorse settimane lo scoppio della crisi ucraina ha proiettato sull’Europa il fantasma di un conflitto vissuto con preoccupazioni sempre più crescenti. Nel momento in cui scrivo, infatti, l’invasione russa sembra aver raggiunto livelli di violenza inauditi, lasciando presagire che quel “conflitto limitato” auspicato da molti abbia lasciato spazio ad una delle carneficine più barbare della storia recente.
C’è però un tema che mi ha perseguitato sin dalle prime giornate in cui ho iniziato a seguire da vicino la crisi ucraina. Come fare ordine tra le mille informazioni che riceviamo ogni giorno dai media? Quali sono i dossier veramente chiave per capire le dinamiche del conflitto e la sua tanto auspicata risoluzione? Cosa è destinato a rimanere e cosa a scomparire?
Devo ammettere che, almeno in un primo momento, mi sono fatto travolgere anch’io dalle analisi più disparate, dalla mole infinita di informazioni e, soprattutto, dalle valutazioni etiche sul conflitto e le atrocità della guerra. Penso infatti che le immagini arrivate in questi giorni da Kiev, Mariupol, Kharkiv probabilmente plasmeranno per sempre la memoria collettiva della nostra generazione.
Ma al di là delle terrificanti e strazianti fotografie che vediamo ogni giorno in televisione o sui giornali, la guerra necessita dello strumento analitico per far luce sulle dinamiche delle sforzo bellico e sulle sue conseguenze future. Ed è proprio dall’esigenza di individuarle, queste tendenze, che nasce l’articolo che state leggendo.
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1. La “vera” guerra si gioca tra Europa e Russia
La Russia ha attaccato l’Ucraina a causa dell’espansione della NATO?
Dopo tre settimane dallo scoppio del conflitto vi sono poche certezze. Una di queste, però, è che l’attacco contro l’Ucraina debba essere considerato un attacco mosso dalla Russia contro l’Europa e il mondo occidentale nel suo complesso. Prima dello scoppio della guerra, sedicenti esperti hanno alimentato l’idea - errata sia nel presupposto che, soprattutto, nella finalità - che l’invasione russa fosse esclusivamente una contromossa per limitare l’espansione della NATO nell’Europa orientale.
Questa ricostruzione è stata spazzata via in maniera incontestabile dallo svolgersi del conflitto che, per ora, si sta dirigendo verso una sola direzione: la distruzione totale dell’Ucraina da un punto di vista sociale, economico e politico. Come dimostrato dai dialoghi diplomatici - tenuti dai russi senza alcun tipo di volontà politica di giungere ad un accordo - in questa guerra non c’è spazio per i negoziati, almeno per ora.
Gli attacchi contro gli obiettivi civili (si pensi al reparto di maternità dell’ospedale di Mariupol) o le sempre più crescenti preoccupazioni sull’utilizzo di armi chimiche nell’immediato futuro da parte dell’esercito russo vanno quindi interpretate per quello che sono: una provocazione all’occidente con il fine di testare quale è il limite - politico e morale - ritenuto da noi intollerabile e, superato il quale, saremo disposti a intervenire militarmente.
Considerando che l’amministrazione Biden ha dichiarato di non essere disposta a rispondere al fuoco con il fuoco, per ora le provocazioni russe potrebbero continuare a crescere. Nessun leader, infatti, sembra essere disposto ad assumersi la responsabilità politica di tracciare una red line (di obamiana memoria) che non deve essere superata. Le motivazioni alla base di questa scelta sono comprensibili, ovvero la paura di un’escalation nucleare, ma nella realtà dei fatti hanno concesso al Presidente Putin di incrementare le violenze contro i civili ucraini che stanno pagando con la loro vita gli esiti di uno scontro più ampio tra oriente ed occidente.
2. Grano ed energia: le prossime crisi
Una rimessa in discussione del modello di sviluppo post-pandemico?
A prescindere dalle sorti del conflitto, tutt’ora imprevedibili, è evidente che la crisi ucraina avrà un impatto devastante su almeno due settori chiave a livello globale: quello energetico e quello dei beni alimentari. Il primo colpirà in maniera asimmetrica i Paesi europei. I dati (Statista, 2020) ci mostrano infatti l’esistenza di alcuni Stati come Bosnia Erzegovina, Macedonia del Nord, Moldavia che sono al 100% dipendenti dalle esportazioni russe. All’opposto si trovano invece la Romania e i Paesi Bassi (rispettivamente al 10% e all’11%). Tra queste due estremità vi è il caso italiano che oscilla attorno al 40%.
In questa fase, dunque, si svilupperà un divario netto tra i Paesi che negli ultimi anni hanno riflettuto ed adottato una strategia energetica nazionale e quelli che, invece, non hanno considerato i rischi di un’eccessiva dipendenza da Mosca. L'Italia, purtroppo si trova tra quest’ultimi e a nulla sembra essere servito il monito lanciato dall’invasione illegale della Crimea ancora nel 2014 visto che negli ultimi otto anni la nostra dipendenza dal gas russo ha continuato a crescere.
Le implicazioni dell’imminente crisi energetica sono state riassunte in maniera efficace in un articolo dell’ISPI: Climate change: dal net zero al "va bene tutto purché scaldi”. Nel 2020, infatti, in un clima politico che guardava al futuro con cauto ottimismo i principali Governi mondiali (e la stessa Unione Europea) hanno annunciato ambiziosi programmi di transizione energetica. Oggi, però, ci troviamo davanti ad un’evidenza: la transizione sarà ben più lunga del previsto e nell’immediato dovremmo ricorrere a “misure tampone” che andranno proprio contro lo spirito green: in Italia, per esempio, si parla di riaprire le centrali a carbone.
Il secondo fattore - la crisi agricola - avrà un impatto altrettante asimmetrico, seguendo però una dinamica legata al PIL pro-capite. I prezzi dei generi alimentari secondo l’ultimo annuncio della FAO sono infatti destinati ad aumentare del 20% su scala globale e i cosiddetti low-income countries, ovvero i Paesi a basso reddito, saranno quelli maggiormente colpiti. Se si pensa all’area del Medio Oriente e alle pulsioni sociali rivoluzionarie legate all’aumento dei prezzi del cibo - come avvenuto nella prima fase delle Primavere Arabe del 2011 - questo fenomeno assume delle connotazioni particolarmente preoccupanti per la stabilità della regione.
3. Fin dove possono arrivare le violenze?
Armi chimiche o nucleari?
Parlando tra di noi con un linguaggio chiaro ed onesto - doveroso soprattutto nei confronti di chi vive le atrocità della guerra - è necessario dire che la popolazione civile ucraina rischia nelle prossime settimane di essere sottoposta a violenze ancora peggiori. Violenze che hanno due nomi ben precisi: armi tattiche nucleari e armi chimiche.
Il primo caso - quello delle armi tattiche nucleari - è ad ora quello più remoto, sebbene non più impossibile. A riguardo mi sento di consigliare due letture: qui si spiega la natura “limitata” di queste armi e come verrebbero eventualmente impiegate nel conflitto, qui, invece, c’è un articolo un pò più pessimista che mette in guardia dal fatto che questi dispositivi di guerra non siano “così limitati” come si vuol far credere.
Il secondo caso - quello delle armi chimiche - si presenta ad ora come molto più probabile. Secondo alcuni analisti, infatti, potrebbero essere introdotte nel conflitto in tempi rapidi, sebbene siano vietate dal diritto internazionale (si veda la Chemical Weapons Convention del 1997). Questi strumenti sono stati banditi in quanto non rispettano alcun tipo di standard morale nella conduzione della guerra.
Prendo in prestito una loro sintetica descrizione apparsa in un articolo de La Repubblica:
Secondo l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche (Opac) sono quegli strumenti bellici che “causano danni o morte intenzionale attraverso agenti di carattere chimico", e che quindi attentano alla persona e alle varie funzioni dell’organismo. Le armi chimiche sono di vario tipo. Ci sono agenti nervini, come il sarin, il soman o il Novichok utilizzato per l’avvelenamento dell’ex spia doppiogiochista Sergej Skripal e sua figlia Julija a Salisbury nel 2018. Sono gas che attaccano le “connessioni” tra cervello e muscoli, o il sistema respiratorio o altri organi, provocando paralisi, danni spesso gravissimi e morte.
Il principale motivo che ha spinto gli analisti a temere una loro adozione - una preoccupazioni che io condivido totalmente - si basano sui recenti movimenti politici, formali e informali, della Russia. Da ormai diversi giorni i principali canali di disinformazione del Cremlino stanno infatti diffondendo l’ipotesi, molto probabilmente falsa, che in Ucraina vi siano dei laboratori dedicati allo studio e alla costruzione di armi biologiche. Una strategia comunicativa, questa, che ricalca quella adottata da Mosca in Siria: creare un falso allarme - quello dei laboratori di armi biologiche - per giustificare un successivo intervento con l’utilizzo delle armi chimiche al fine di sventare la minaccia fabbricata ad hoc.
4. La svolta “bellica” dell’Unione Europea
È arrivato il momento della difesa comune europea?
L’Unione Europea ha sempre adottato un approccio molto cauto sul fronte bellico. Questo fatto è comprensibile, in virtù delle motivazioni storiche e politiche che hanno portato alla nascita del progetto politico dell’UE. Con l’invasione russa dell’Ucraina, però, la situazione geopolitica della regione è cambiata in maniera significativa.
Almeno due eventi hanno testimoniato una trasformazione dell’atteggiamento europeo nei confronti della “guerra”. Da un lato, l’Unione - per la prima volta nella sua storia - ha iniziato ad esportare armi, stanziando complessivamente la somma di 500 milioni di dollari (attualmente è in corso un dibattito per raddoppiare questa cifra fino a raggiungere il miliardo).
Dall’altro lato, il cancelliere Scholz ha interrotto l’approccio tedesco di non interferenza negli affari militari esterni, iniziando ad esportare armi direttamente in Ucraina e, contestualmente, dichiarando che il Paese nei prossimi anni aumenterà le spese militari fino a superare il 2% del PIL (i famosi 100 miliardi di cui si è parlato un pò dappertutto).
Questi fattori appena elencati non vanno chiaramente sovrastimati. La famosa difesa comune europea di cui si parla da diversi anni rimane per ora un’ipotesi remota, anche perché per ora manca sia la volontà politica che una chiara volontà d’intenti comune per poterla realizzare. La “svolta bellica” dell’UE, però, è importante almeno per due motivi: 1. Il dibattito militare non sarà più considerato un “tabù” all’interno dell’Unione 2. Un’Europa “armata” svolgerà comunque un’importante funzione di deterrenza contro le minacce esterne.
5. Migranti, sanzioni e criptovalute (in pillole)
Le sanzioni contro Mosca
La Russia è ad oggi il Paese più sanzionato al mondo. Al di là delle sanzioni che hanno colpito direttamente Putin e gli oligarchi a lui vicini, le misure più significative imposte dall’occidente hanno riguardato l’esclusione delle principali banche russe dal sistema SWIFT (qui un articolo in cui se ne parla) e il blocco delle riserve valutarie della banca centrale russa detenute in euro e in dollari. Secondo le prime stime, queste misure avranno un impatto devastante sull’economia della Russia, la quale dovrebbe registrare una contrazione del 9,7% in termini di PIL nel 2022. Le sanzioni, però, colpiranno in misura minore anche i Paesi europei. L’Italia, per esempio, dovrebbe subire a sua volta una contrazione dello 0,3%.
Il Bitcoin come “valuta guerra”
Le sanzioni imposte a Mosca hanno avuto l’effetto assai prevedibile di far crollare il valore del rublo (ad ora - 29%). Questo fenomeno ha scatenato la cosiddetta “corsa al bitcoin” da parte di molti cittadini russi, nonostante l’opposizione formale della banca centrale del Paese alla diffusione del possesso delle criptovalute tra i cittadini russi. Ciononostante, una parte della popolazione che deteneva patrimoni in rubli ha iniziato ad acquistare Bitcoin - nonostante le sue enormi fluttuazioni - ed altre stablecoins (ovvero criptovalute il cui valore rimane molto stabile nel tempo). Nel breve periodo questa “corsa alle crypto” potrebbe avere un impatto positivo nel preservare il potere d’acquisto in un periodo di crescente inflazione.
Migranti: le disparità permangono
Dopo lo scoppio del conflitto è emerso chiaramente che nuovi flussi migratori avrebbero avuto luogo nell’Europa continentale. Ad oggi - stando all’ultimo rapporto dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati - hanno lasciato il Paese circa 2,7 milioni di ucraini. Ciò che non è cambiato, purtroppo, è l’approccio adottato nella gestione di tali flussi in cui sono stati registrati numerosi episodi discriminatori nei confronti di cittadini non ucraini provenienti in particolare dall’Africa, dallo Yemen o dall’Afganistan. Un bell’articolo di Vox del 5 marzo racconta l’esperienza di queste persone.
Come sarà il mondo di domani?
Russia e Cina, da un lato, l’Occidente dall’altro
Non mi piace fare previsioni. Gli anni recenti infatti - in una visione molto antifragilista degli eventi - ci hanno dimostrato come la vita, intesa in senso sociale e individuale, sia esposta ad una serie di stimoli ed eventi incontrollabili. Nonostante io sposi questa visione, concedetemi, però, un momento di riflessione senza alcuna pretesa di verità alla fine di questo articolo. Come sarà il mondo di domani? Penso che gli eventi degli ultimi anni, acuiti ed accelerati dalla crisi ucraina, stiano andando in una direzione abbastanza precisa.
Poco prima dello scoppio della crisi, il Presidente Vladimir Putin e la sua controparte cinese, Xi Jinping, si sono incontrati per formalizzare una partnership definita da entrambi “illimitata”. Al di là della realtà fattuale che ci mostra due Paesi che in molti settori hanno interessi divergenti, questo passaggio risulta essere emblematico e rivelatore della ricomposizione geopolitica attualmente in atto a livello globale.
Dopo quasi tre settimane dallo scoppio delle ostilità possiamo affermare che a sostegno della causa ucraina si son riunite le principali democrazie mondiali, attorno a quella russa, invece, i principali attori illiberali (Cina, Iran, Sudan, Paesi arabi del Golfo), seppur mascherando la loro posizione con prese di posizione ambigue e formalmente neutrali. Questa configurazione, molto probabilmente, continuerà a caratterizzare anche il “mondo di domani”.
L’ambito economico sarà, a mio avviso, il principale teatro dove assisteremo a questa divisione e ricomposizione politica. La Russia, a parer mio, può essere già considerata fuori dai giochi: le sanzioni molto probabilmente continueranno a colpire l’economia del Paese a prescindere da qualsiasi esito bellico. Investire o commerciare con Mosca sarà virtualmente impossibile, almeno per noi occidentali. La Cina, invece, sta vivendo una fase turbolenta nei suoi rapporti con i mercati occidentali, data la sua (quasi) sistematica estromissione dagli investimenti in settori sensibili iniziata in particolare durante la presidenza Trump ma mantenuta sostanzialmente invariata anche dal Presidente Biden.
Mai come ora, la vecchia divisione tra mondo “libero” e regimi autoritari sembra essere adatta a definire il sistema di relazioni intestatali che emergerà alla fine del conflitto. Ma per questo, magari, ci sarà in futuro l’occasione per nuove riflessioni. Quel che conta, ora, è l’appello forte e unanime contro la barbara invasione perpetrata dal Governo russo in Ucraina. Tutto il resto può aspettare domani.
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